Ci sono dei momenti nella vita in cui siamo costretti a confrontarci con delle tragedie assolutamente inaspettate (perdita di persone care, fallimenti, delusioni) ma che ad un qualche livello dobbiamo provare a gestire poiché avere la sensazione di affrontare qualcosa più grande di noi è un imperativo evolutivo che rientra nel disegno di vita di ognuno.

Attraversare il proprio dolore non è certo un processo piacevole, tuttavia ci sono delle persone che affrontano una crescita post traumatica uscendone più forti di prima. Di fronte alle difficoltà c’è chi riesce a recuperare più forza interiore, ad apprezzare maggiormente la vita, a trovarne un significato più profondo, chi crea delle relazioni più salde e autentiche o chi riesce a scorgere delle opportunità che prima non erano presenti.  Magari quelle opportunità sono depositate lì, vicino al proprio dolore, e se ci mettiamo a cercarle, riusciamo a farle emergere.

Questo articolo ha lo scopo di fornire alcune indicazioni utili per entrare in contatto con le proprie risorse.

Cosa non fare

Innanzitutto per non provocare una battuta di arresto nel nostro processo di recupero è necessario:

– non personalizzare, ovvero sottrarsi alla sensazione di sentirsi colpevoli di quanto accaduto;

– non rendere l’evento pervasivo, ossia non cedere alla convinzione che quanto accaduto interesserà tutte le aree della nostra vita;

– non credere che le conseguenze di quanto subìto possano durare per tutta la vita.

La letteratura scientifica, ad oggi, ha ampiamente dimostrato come sia gli adulti che i bambini possano riprendersi più velocemente da eventi traumatici quando comprendono che le difficoltà non sono del tutto causate da loro, quindi non si colpevolizzano, quando tali difficoltà non condizionano ogni aspetto delle loro vite e quando capiscono che non le subiranno per tutta la loro esistenza.

È ormai risaputo il fatto che abbiamo la tendenza a sovrastimare per quanto tempo gli eventi negativi continueranno ad influenzarci. Per tale ragione le previsioni su come ci sentiremo in futuro sono fuorvianti e assolutamente non veritiere.

Il dolore che stiamo provando non durerà per sempre.

Ridimensionare lo scenario

Uno dei processi che sorprendentemente aiuta le persone in crisi è quello di concentrarsi su scenari peggiori. L’istinto ci porta a cercare immagini positive ma non si può sfuggire al dolore di traumi troppo gravi. Pensare a quanto peggiori potrebbero essere stati gli accadimenti aiuta perché sollecita in noi la sensazione di gratitudine. Quest’ultima svolge un ruolo fondamentale all’interno del processo di elaborazione del dolore. Più si è inclini alla gratitudine minori sono le possibilità che si sviluppino ansia, depressione e rabbia.

Ovviamente non è semplice compiere queste operazioni di fronte a grandi sofferenze.

Cercare supporto

Parlare con altre persone può aiutare molto. Non deve essere necessariamente uno psicologo ma anche persone che hanno già vissuto tali esperienze o che hanno subìto la stessa perdita. Forse le persone con cui parliamo non potranno risolvere i nostri problemi ma sapere che c’è lì qualcuno pronto ad ascoltarci può essere determinante e fare la differenza. Lavorare sulla propria rete relazione al fine di trovare queste figure di riferimento è indispensabile.

Il potere terapeutico della scrittura

Pensare costantemente a ciò che ci preoccupa è un’attività di ruminazione non funzionale ai fini di un’elaborazione della propria sofferenza. Rivivere il proprio dolore, scrivendolo invece che pensandolo, è fondamentale. Attraverso la scrittura si è obbligati a dare una struttura al flusso di pensiero invece che lasciarlo avvitare in maniera spesso disfunzionale dentro di sé. Certo è molto più doloroso rivivere la propria sofferenza per iscritto invece che limitarsi a pensarla ma quest’ultima affermazione è vera solo in parte perché nel tempo, proiettandosi sul medio-lungo termine, si avranno dei benefici molto importanti.

La scrittura permette di entrare in contatto con il proprio dolore e dargli un senso medicando quelle parti psichiche ancora ferite. Pensare ad un problema lo rende tendenzialmente peggiore ma scriverlo permette di affrontarlo.

Per concludere

Il dolore per essere superato deve essere innanzitutto vissuto e la strada più veloce per uscirne fuori è proprio passarci attraverso. Lo sapevano bene gli antichi, infatti la parola trauma origina etimologicamente dal greco τραῦμα (trávma) e vuol dire ferita quasi a evidenziare l’impossibilità di rimarginare una volta per tutte certe lacerazioni. Ma la ferita è al contempo una “feritoia”, un minuscolo varco che consente di affacciarsi sul proprio mondo interiore e affrontare il proprio dolore. Permettere che da questa fessura passi anche la luce trasformerà le nostre storie di dolore in storie di riparazione.

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