L’emergenza sanitaria che si sta prolungando nel tempo potrebbe innalzare a livelli sempre più crescenti le pressioni del personale sanitario, causando negli stessi operatori una cronicizzazione dei livelli di stress lavoro correlato. Se protratto nel tempo e accompagnato da tensione intensa, lo stress può determinare un deperimento delle risorse psicologiche e in alcuni casi l’emergenza di burn out.

Questo articolo è orientato a rispondere alla seguente domanda: può l’autoipnosi, se ben condotta, essere in grado di far regredire  la sindrome del burn out professionale?

Che cos’è l’autoipnosi?

Innanzitutto è bene definire l’autoipnosi come uno stato modificato di coscienza ottenuto attraverso un lungo e motivato allenamento. Esso è finalizzato a rivolgere la mente dall’esterno verso l’interno, anche con l’uso di vari metodi di rilassamento, praticando l’introspezione senza giungere con questo a realizzare sempre e comunque una vera e propria autoanalisi.

Che cos’è la sindrome del burn out?

La sindrome del burn out, in inglese logorarsi, si riferisce a tutto quel campo di professionisti dell’aiuto in ambito sociale o individuale come medici, psicologi, infermieri, oss, ausiliari, assistenti sociali, i quali, per motivi di norma molto vari, ma quasi sempre legati allo stress e alla tensione emotiva, cercano progressivamente di disimpegnarsi, almeno emotivamente, dal proprio lavoro. Entrano, così, in uno stato di malessere psicofisico, di logorio continuo, di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione, di demotivazione al lavoro con una progressiva riduzione degli ideali, delle energie e degli obiettivi professionali prefissati.

I professionisti colpiti dalla sindrome del burn out, oggi più che mai, sono in continuo aumento e non solamente tra quelli inseriti nelle strutture ospedaliere, ma anche tra quelli i quali svolgono la loro attività nel privato. Le categorie più a rischio sono gli operatori della terapia intensiva, dei reparti psichiatrici, del pronto soccorso, gli anestesisti e anche tutti gli operatori che prestano assistenza ai malati terminali, sia dentro che fuori le strutture.

Visto come procede la situazione in campo nazionale, anche a seguito dell’emergenza Covid-19, diviene necessario fornire all’operatore sanitario gli strumenti necessari per continuare a percorrere questo terreno di lavoro pieno di ostacoli. È su questo terreno, d’altra parte, che sono disseminate violente emozioni, situazioni autoaggressive, speranze insoddisfatte, forti motivazioni di lavoro perdute lungo il sempre meno facile percorso professionale, grandi ideali ostacolati dalla burocrazia, energie logorate dallo stress, dal superlavoro, dall’esaurimento emotivo, dall’ansia e dalla depressione latente o manifesta.

Stress e demotivazione: come rinnovarsi?

Una strada da percorrere per ottenere qualche risultato importante nel “vincere” la sindrome del burn out è quella dell’allenamento costante, paziente e perseverante all’autoipnosi. L’autoipnosi intesa, dunque, come introspezione, via via sempre più profonda e sempre più completa, a volte anche come analisi dei propri vissuti, delle proprie esperienze, delle proprie aspettative, dei propri bisogni, ed infine anche come autovalutazione delle personali possibilità in tanti campi dello studio, professionale o no, oltre che di sano momento di svago.

Autoipnosi: come raggiungerla?

L’autoipnosi deve essere raggiunta entro uno stato di coscienza modificato, in veglia rilassata, attutendo le afferenze che giungono alla corteccia dalla periferia, cominciando a sentire tutto quello che nasce dentro, in modo da raccogliere tutte quelle energie e quelle cariche che si rivelano una fonte preziosa per affrontare i problemi della vita quotidiana. Questa possibilità di cura necessita di un allenamento condotto con pazienza, costanza e perseveranza. Generalmente si inizia con degli esercizi di rilassamento muscolare, tendineo e nervoso.

I metodi per raggiungere uno stato di autoipnosi variano molto a seconda della predisposizione individuale, delle motivazioni personali consce e inconsce, del tempo disponibile, della disposizione psicologica e mentale ad ottenere risultati a volte persino definitivi, del momento particolare che si attraversa (non tutti i momenti sono uguali). Se si inizia con i più noti, come il training autogeno di Schultz, è molto meglio sforzarsi di fare tutto da soli, fin dal primo momento, in modo tale da allenarsi con più dedizione, anche perché si tratta effettivamente di un qualcosa di “autogeno”, cioè che si genera da sé. È chiaro, d’altra parte, che è necessario prima di iniziare conoscere la procedura, almeno per gli esercizi inferiori.

I metodi di rilassamento da autoconcentrazione passiva possono essere utili non solamente nei casi più eclatanti, cioè quando la persona è entrata in quella fase di burn out, di logorio particolarmente intenso, ma anche e soprattutto quando si presentino i primi sintomi di questa sindrome, a volte veramente insidiosi, poco accettati e perfino consciamente mascherati.

Per concludere

Personalmente ritengo che non si riscontrino difficoltà di alcun tipo nell’intraprendere la via dell’autoipnosi se si è disposti ad ascoltare i suggerimenti e i consigli dell’ipnoterapeuta. Il professionista ha le competenze per utilizzare parole “normali” volte a richiamare il rilassamento, la distensione, la calma, la tranquillità, le cosiddette “parole chiave”, senza soffermarsi in lunghe e complesse costruzioni ipnotiche, le quali corrono il rischio di attivare molto l’attenzione e la concentrazione, impedendo un buon rilassamento psicofisico a tutti i livelli ed in modo particolare l’insorgere dell’attività spontanea del cervello destro. In questo modo si possono ottenere risultati abbastanza buoni e, quello che più conta, sufficientemente duraturi nel tempo, specie se la persona è fortemente motivata a raggiungere il risultato sperato, per liberarsi infine di una sindrome che intacca  il corpo e la psiche.

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