Quando la sofferenza non trova parole
Chi si rivolge a un percorso terapeutico spesso cerca sollievo da un dolore che appare insopportabile: ansia pervasiva, angoscia senza nome, sensazioni fisiche o emotive che invadono la quotidianità. Più che soluzioni rapide, ciò che si desidera è tornare a vivere dentro limiti di dolore sostenibili.
Ma talvolta quel dolore nasconde qualcosa di più profondo: un’esperienza di vuoto, di tradimento esistenziale, un trauma affettivo che continua a ripetersi e a farsi sentire nel corpo e nella mente.
Quando la vita perde senso
Ci sono momenti in cui tutto appare privo di significato. Il pensiero corre senza sosta, le emozioni non trovano contenimento, la vita perde valore. La solitudine interiore diventa insopportabile, e si arriva a chiedersi se valga davvero la pena andare avanti.
In questi casi, non esistono scorciatoie. Non bastano risposte rapide o rassicurazioni di circostanza. Il lavoro terapeutico inizia proprio qui: nel sostare accanto al dolore, senza giudizio, in ascolto profondo. È un esercizio difficile, ma necessario: imparare insieme al paziente a rimanere nel silenzio, a sentire e nominare anche le emozioni più scomode.
L’inferno dell’assenza affettiva
Tra tutte le forme di sofferenza, quella legata all’assenza d’amore è forse la più destabilizzante. Quando l’amore manca, o si spegne, si spegne anche quella luce che ci tiene in connessione con la vita.
Chi ha vissuto esperienze precoci di deprivazione affettiva spesso sviluppa difese profonde: si chiude in un mondo interiore freddo, privo di scambio emotivo. Le emozioni diventano estranee, osservate da lontano come accade a chi vive in una capsula protettiva, impermeabile all’altro.
L’anaffettività come difesa e prigione
In queste situazioni, il blocco affettivo si struttura come un vero e proprio “congelamento” delle emozioni. Il corpo e la mente si irrigidiscono, impedendo la libera circolazione del sentire. Ne deriva un’incapacità di provare, di amare, di entrare in relazione autentica.
Da fuori, la persona può sembrare funzionale, persino amabile, ma dentro resta prigioniera del gelo, incapace di fidarsi e di lasciarsi andare.
Il Falso Sé: tra relazioni apparenti e isolamento emotivo
Non sempre l’anaffettività è evidente. Spesso si maschera sotto forme di apparente normalità: persone efficienti, relazioni formalmente corrette, legami superficiali vissuti più come contratti che come veri incontri. Si costruisce così un “falso Sé” che funziona, ma non sente. Le razionalizzazioni diventano i soldati della fortezza, pronti a giustificare ogni distanza, ogni evitamento.
Ma sotto quella superficie si nasconde spesso un dolore antico, una ferita non guarita, un amore mai ricevuto che continua a chiedere ascolto.
Il percorso terapeutico come possibilità di cambiamento
Affrontare l’anaffettività richiede tempo, cura e uno spazio sicuro. È un cammino che si compie insieme, passo dopo passo, dentro la relazione terapeutica. Solo accedendo a quel nucleo emotivo bloccato, è possibile dare un nuovo significato alla propria storia, riconnettersi al sentire e riaprire le porte alla possibilità di amare e lasciarsi amare.
Se ti sei riconosciuto in alcune di queste parole…
Se senti che qualcosa dentro di te è bloccato, che fai fatica a entrare davvero in relazione con l’altro o a sentire le tue emozioni, sappi che non sei solo. La psicoterapia è uno spazio protetto dove poter esplorare queste esperienze, comprenderne le radici e intraprendere un percorso di cambiamento autentico.
Presso il mio studio offro percorsi individuali per chi desidera lavorare sulle proprie difficoltà affettive e sul senso di vuoto interiore. Insieme possiamo dare voce a ciò che è rimasto inascoltato troppo a lungo.
Per informazioni o per fissare un primo colloquio, puoi contattarmi attraverso il modulo di contatto del sito o scrivermi direttamente.
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